Dalla tecnica di dito a quella del peso - Il Pianoforte e la Didattica

ANTONIETTA CAPPELLI
DIDATTICA PIANISTICA E MUSICALE
Il Pianoforte e la Didattica
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Dalla tecnica di dito a quella del peso

La tecnica pianistica
La tecnica pianistica primordiale fu l’unione della tecnica clavicembalistica con quella del clavicordo. Seppur il clavicordo permettesse di ottenere sfumature sonore ricche ed espressive, i musicisti amanti delle tastiere, sentivano il bisogno di uno strumento che potesse esprimere le emozioni e permettesse di discernere le melodie sovrapposte dei brani polifonici: François Couperin, nella prefazione del suo trattato “l’arte di suonare il clavicembalo”, esprime questo desiderio ed esorta i liutai a creare uno strumento innovativo.
                                                       
Carl Philipp Emanuel Bach, nel suo Saggio di Metodo per la Tastiera, parla di esigenza di variazione timbrica che si ottiene suonando strumenti musicali diversi: il clavicembalo, avendo la meccanica a corde pizzicate, è adatto per eseguire composizioni di musica d’insieme e il clavicordo, a corde percosse, più adatto per eseguire brani da strumento solista. Inoltre sottolinea la differenza timbrica tra le due esecuzioni: sostiene essere determinata dalla forza del dito, nell’attacco al tasto e dalla durata delle note.                                                                            

I primi prototipi di Forte Piano furono sperimentati sul finire del XVII secolo in tutta Europa ma, ufficialmente, il primo esemplare di pianoforte fu ideato dal cembalaro padovano Bartolomeo Cristofori per ordine del Principe Ferdinando de' Medici. Il primo di questi esemplare è conservato presso la Michigan University ad Ann Arbor e porta la data del 1702. Nel 1711 fu minuziosamente descritto da Scipione Maffei nel "Giornale dei letterati" e successivamente nel 1719 nelle sue "Rime e Prose". Fu proprio la pubblicazione sul Giornale che fece conoscere anche alle altre nazioni l'invenzione del Cristofori, suggerendo ai tedeschi (che hanno cercato di accollarsi la fama di primi fabbricatori di pianoforte) Schroter e Silbermann di fabbricare strumenti simili.                        
È innegabile che ogni costruttore abbia dato il suo contributo allo sviluppo del Forte Piano e potrei anche azzardare l’idea che proprio la rivalità tra i vari costruttori e la collaborazione tra costruttore e fruitore esperto dello strumento, hanno determinato il successo e attivato la curiosità di tanti grandi musicisti.
Silbermann, nel 1726, iniziò la costruzione di pianoforti che presentò a J. S. Bach, poco entusiasta della debolezza dei suoni acuti e della pesantezza della tastiera. Il giudizio severo di Bach indusse il Silbermann a non fabbricare più pianoforti per anni, ma comunque di fabbricarne in segreto per perfezionare la meccanica e rimetterli in commercio vent'anni dopo. Il 7 maggio 1747 nel castello di Federico il Grande, a Potsdam, J.S. Bach accettò di suonare uno strumento del Silbermann e rimase soddisfatto dei miglioramenti apportati (anche se in vita sua rimase fedele al clavicembalo e non ne comprò mai uno, al contrario di suo figlio C. Emmanuel che ne possedeva un bellissimo esemplare).                                                        
I primi pianoforti erano "gracili": l'intelaiatura era di legno, le corde sottili e poco robuste e la meccanica interna altrettanto. Per questo motivo, gli affezionati al consolidato anziano Clavicembalo, fecero fatica ad accettarlo.                              
La Vienna classica fu un polo culturale importante ai tempi di Haydn, Mozart e Beethoven i quali dedicarono varie composizioni al nuovo strumento. In particolare, Beethoven contribuì allo sviluppo del "fortepiano" dando consigli utili ai costruttori, relativi alla robustezza del telaio e alla meccanica (vista la sua impetuosità nel suonarlo).                                                                              
Anche i francesi non furono da meno: Erard contribuì col brevetto del doppio scappamento, successivamente si inserirono due pedali e l'estensione passò da 5 a sei ottave. Nella seconda metà del secolo XIX°, per la prima volta fu costruito il “pianoforte a coda da concerto” ad opera della ditta Steinway & Sons di New York, le cui caratteristiche: telaio metallico fuso in un unico blocco e sovrapposizione delle corde (detta “sovracordatura”). Infine nel 1870 l’estensione fu portata a sette ottave e mezzo e non ci fu nessun altro cambiamento.


Apro una parentesi pedagogica necessaria per capire l’evoluzione della didattica (legata al periodo storico e al pensiero filosofico).
Dal XVIII secolo il bambino e la sua educazione divengono il fulcro dell'educazione e vi è una ricerca dei mezzi per poter insegnare. Mario Fubini afferma che nell'800 il musicista non si propone di instaurare un rapporto Maestro-allievo nel senso tradizionale ma, di avere confronti con l'infanzia e quindi un compito puramente edificante ed estetico. Si passa da una visione settecentesca, musica concepita come mezzo attraverso il quale formare il musicista in vista di una futura professione, a una visione ottocentesca, il musicista romantico si rivolge al bambino usando un linguaggio semplice e si preoccupa che abbia capito. Sul finire dell'800 e primi decenni del 900 si delinea la consapevolezza di legare le necessità pedagogiche alle caratteristiche significative (cognitive, relazionali, emozionali...) mettendo in relazione al contesto socio-economico e familiare in cui vive il fanciullo.

Tornando al periodo della Vienna classica, il crescente interesse per il nuovo strumento portò i musicisti a concepire fondamenta solide di tecnica per poter affrontare il vasto mondo della letteratura che si prospettava. Il Forte Piano era ancora in fase di sperimentazione e non aveva né la meccanica né il timbro di quelli attuali (come accennato prima). Muzio Clementi, nel suo Metodo completo per pianoforte, afferma di poter ottenere il legato appoggiando le dita sopra i tasti. Ogni dito dev’essere tenuto abbassato fino al momento in cui sarà percosso il seguente: si produce così un prolungamento della vibrazione delle corde, che, a sua volta, «incatena i suoni e crea un effetto dolce e toccante».  François Joseph Fétis e Ignaz Moscheles, Metodo dei Metodi di pianoforte o trattato dell’arte di suonare questo strumento, parlano di variazione del tocco: la «bontà del tocco, d’onde risulta non solo il volume del suono, ma la sua qualità più o meno pastosa e piena, è la conseguenza di un'intera libertà ed indipendenza delle dita». Carl Czerny, secondo cui si può toccare il tasto con almeno «100 gradi di forza e di debolezza» e tali variazioni richiedono grande padronanza delle dita che può essere acquisita tramite l’esercizio delle scale.
Il modo di suonare lo strumento ha seguito l’evoluzione della meccanica e così si è passati da una tecnica prevalentemente “di dito” (come si evince dalle affermazioni di Clementi, Fétis e Czerny sopra riportate) ad una che ha associato le dita ai movimenti di adduzione e abduzione dei polsi (espresso chiaramente nel metodo di Starke), limitando i movimenti delle braccia, fino ad arrivare a suonare con tutto il corpo, sfruttando il concetto di “peso”.
Il crescente interesse dei compositori e musicisti per il Forte Piano e l’aggiornamento continuo della sua meccanica, richiese delle regole di tecnica di base che si tradussero in numerosi trattati didattici, frutto dell’esperienza diretta di rispettabili musicisti che oltre alle composizioni e concerti pubblici, tenevano lezioni private presso i salotti dei ricchi signori. Ogni trattato, detto METODO, porta alla nascita di diverse scuole pianistiche tutte accomunate dal fatto che il Maestro era l’esempio per i discenti che dovevano sottostare alle regole ferree della postura, posizione delle mani e della “sacra e intoccabile” diteggiatura creata ad hoc dal Maestro.  È il caso dei metodi teorico-pratici: da JAN LADISLAV DUSSEK, Introductions on the Art of Playing the Piano Forte or Harpsichord, London, Corri & Dussek 1796 a CARL CZERNY, Vollständige theoretisch-practische Pianoforte-Schule, von dem ersten Anfange bis zur höchsten Ausbildung fortschreitend op. 500, 3 volumi, Wien, Ant. Diabelli & Comp., 1839.                                                                              
Meno conosciuto e molto interessante, è il Wiener Pianoforte-Schule di F. Starke che è facilmente consultabile sul sito IMPLS-biblioteca musicale Petrucci.

Dalla seconda metà dell’Ottocento nascono i metodi pratici che richiedono un insegnamento graduale che dal livello base tende al virtuosismo. Meticoloso uso del metronomo che “tacchetta dopo tacchetta” porta ad aumentare l’agilità. Solitamente vi è una prefazione dell’autore, molto snella, e delle raccomandazioni su come studiare gli esercizi proposti. Nascono le “varianti” ritmiche e di velocità che precedono lo studio del brano vero e proprio e lo accompagnano al traguardo. Per esempio, il famosissimo Hanon (tutt’ora in uso nei Conservatori), raggruppa gli esercizi a cicli (dopo averli eseguiti innumerevoli volte con le innumerevoli varianti proposte) e consiglia, dopo aver raggiunto la velocità di 108 La semiminima (partendo da una velocità base di 60 la semiminima), di ripeterli 2-3 volte di seguito senza fermarsi, in modo tale da irrobustire le dita. Si parte da una tecnica delle 5 dita (31 esercizi corredati dalle varianti) per poi passare agli esercizi del passaggio del pollice, scale, arpeggi, trilli, tremoli… All’articolazione delle dita si associa la flessibilità del polso. “Cadute e martelletti”, vale a dire: appoggio la mano sulla tastiera, appoggio le dita sui tasti e articolo un dito per volta (martelletti).  
In Russia si stava delineando la tecnica nazionale e pertanto una tecnica che si basava sull’imitazione di quella degli archi (soprattutto per il “legato”) e che prendendo spunto dalla scuola di Listz (germanica), abbandonerà il concetto di dita per parlare di mano-polso, sfatando il mito dell’articolazione delle dita.                                                                                                                 
In Germania L. Deppe stava dando vita alla tecnica “del peso” di stampo pianistico e non più clavicembalistico che sarà tramandata e diffusa (tramite trattati didattici di stampo positivista) dai suoi allievi.                                                                                                                  
Siamo nella seconda metà dell’Ottocento e il Forte Piano ha lasciato il posto al Pianoforte, con una meccanica più solida. Anche in questo caso, la letteratura pianistica è ricca di esempi: H. HERZ, 1000 Exercices pour l'emploi du Dactylion. Chez l'auteur, París, 1836; C. L. HANON, Le Pianiste Virtuose en 60 exercices calculés pour acquérir l'agilité l'indépendance, la force et la plus parfaite égalité des doigts, ainsi que la souplesse des poignets. Boulogne sur Mer, Alph. Schotte et C.ie 1870; K. TAUSIG, Täglische Studien, nach dessen Anweisung und Manuscripten gesammelt, stufenweise geordnet, 3 vols., Berlin, M. Bahn Verlag 1879; F. LISZT, Technische Studien fur Pianoforte, 3 volumi, Leipzig, Schuberth ca.1886; J. BRAHMS, 51 Übungen für das Pianoforte, 2 volumi, Berlin, N. Simrock 1893; S. LEBERT e L. STARK, Grosse theoretisch-praktische Klavierschule für den systematischen Unterrich nach allen Richtungen des Klavierspiels vom ersten Anfang bis zur höchsten Ausbildung, Stuttgart, J. G. Cotta 1858; B. CESI, Metodo per lo studio del pianoforte, 12 fascicoli, Milano, Ricordi & C. 1895-1904; F. ROSSOMANDI, Guida per lo studio tecnico del pianoforte, 8 volumi. Napoli, Simeoli 1923 e tanti altri.
Seguono i Trattati scientifico-razionali, di stampo positivista di fine secolo XIX: ALFRED CORTOT Grundbegriffe der Klaviertechnik, Milan: S. A. Edizioni Suvini Zerboni, 1928. Plate S. 4474 Z.; ALFREDO CASELLA, Il Pianoforte, Ricordi, 1936; SILVIO SCIONTI, L'ARTE PIANISTICA, Principi fondamentali della tecnica pianistica esposti sotto gli aspetti musicali e del meccanismo strumentale, dall'inizio sino a un grado medio di difficoltà, Edizioni Curci Milano, 1961; e tanti altri.

Durante la seconda metà del Novecento e oltre, nascono le scuole di pensiero contemporaneo, le avanguardie. Le tecniche di base per suonare gli strumenti rimangono le stesse e ma ampliano le prospettive, con le sperimentazioni. Molto all'avanguardia è Játékok di György Kurtág che utilizza una scrittura non convenzionale associata a quella convenzionale.

Tutta la letteratura pianistica dedicata alla didattica ha principi sani e corretti. Fétis, nella prefazione del Metodo dei Metodi, scrive che ha deciso di dar vita al suo trattato perché ogni autore selezionato (Moscheles in primis, in quanto ha partecipato attivamente alla stesura) può contribuire alla buona formazione artistica dell’allievo. Una visione aperta della didattica e uno scambio di saperi. Una svolta didattica? Si! Allora mi chiedo: “come mai ancora oggi molti libri che le case editrici musicali etichettano come “novità” si rifanno ai Metodi ottocenteschi? La risposta è che le radici della didattica rimangono fisse, come le leggi fondanti di uno Stato. Cambiano i tempi e i gusti, pertanto, il segreto di affascinare gli allievi alla scoperta continua, sta proprio nel creare un percorso, unico per ogni allievo, che valorizzi i punti di forza, rafforzi quelli deboli e che prenda gli elementi significativi di ogni epoca evidenziandone gli stili. Ecco che seguendo questa strada non si può più parlare di Metodo didattico ma di “progettazione didattica”.

 

Propongo un bell'approfondimento sul metodo Starke (contemporaneo di L.v.Beethoven).
Non avrei mai conosciuto questo metodo didattico se non fosse stato per il C.R.M. www.lvbeethoven.it, nel cui sito potete trovare il mio studio completo corredato da altro materiale didattico.



METODO STARKE
Il Wiener Pianoforte-Schule, op.108, è un trattato pedagogico pubblicato in tre volumi, rispettivamente nel 1819,1820 e 1821 a Vienna. Gli esemplari del metodo sono conservati presso la Deutsche Staatsbibliothek di Berlino [Mus. O. 8955] e la National Bibliothek, Vienna [M.S. 9909].
Una versione abbreviata del trattato, in un solo volume, Kleine Wiener Pianoforte-Schule Op.135, fu pubblicato nel 1830, e lo stesso Starke afferma che era destinato principalmente ai bambini.
Le informazioni biografiche sull’autore non sono molte e si possono ricavare da diverse fonti, alcune delle quali: Blom Eric, ed. Grove's Dictionary of Music and Musicians, 5th ed.  S.v. "Starke Friedrich"; Die Musik in Geschichte und Gegenwart. S.v. "Starke, Friedrich," by Hans Jancik; Schilling Gustav, ed. Encyclopedia der gesammten musikalischen Wissenschaften (1838) S.v. "Starke Friedrich”; Constant von Wurzbach,   Biographisches Lexicon des Kaiserthums Oesterreich (1878) S.v. “Starke Friedrich”.
Starke Friedrich visse in un ambiente familiare molto povero; nacque a Elsterwerda, in Sassonia, il 20 marzo 1774. La sua istruzione musicale primaria fu impartita dal Kapellmeister locale durante il periodo in cui fece da chirichetto, proseguì lo studio del clavicordo con l'organista della parrocchia che frequentava, di nome Uhner, e infine si recò a Grossenhain per studiare con Valentin Görner (un celebre scrittore di Lieder). Quest’ultimo gli insegnò a suonare gli strumenti ad arco e quelli a fiato. Starke eccelleva soprattutto in questi ultimi e infatti il suo strumento principale divenne il corno. Lo studio con Görner durò circa cinque anni e poi iniziò una vita itinerante, suonando in diverse città della Sassonia. Durante i suoi viaggi conobbe diversi musicisti tra i quali Johann Adam Hiller e Friedrich Müller. Ebbe l’onore di ascoltare Mozart in concerto e iniziò lo studio della teoria musicale su testi di Turk, Kirnberger e Marpurg. Da autodidatta, iniziò a comporre danze e composizioni per banda. Dopo alcuni anni di vagabondaggio, decise di stabilizzarsi e accettò l’incarico di Direttore musicale della Kolter'schen Circus Riders Company, un ente musicale prestigioso e noto in tutta Europa. La sua attività da musicista e pedagogo fu prolifica: suonò il corno con le orchestre del teatro e del Duomo di Salisburgo, insegnò fortepiano in casa della contessa Pilati a Wels, e diresse la banda reggimentale dell'arciduca Ferdinando dal 1798 al 1814, conducendo campagne militari in Svizzera, Svevia e sul Reno. Decise di stabilirsi a Vienna e iniziò a studiare composizione con Albrechtsberger. Proprio a Vienna conobbe personalmente Beethoven e grazie alla raccomandazione di quest’ultimo, ottenne il posto di primo corno nell'Orchestra dell'Opera di Corte, a Vienna. L.v.Beethoven stimava Starke. L’ammirazione crebbe dopo averlo ascoltato suonare la sua Sonata per corno op. 17, Ludwig osservò che non aveva mai sentito sfumature simili e soprattutto aveva trovato particolarmente bello il pianissimo di Starke. [Alexander Wheelock  Thayer, Thaver's Life of Beethoven, revised and edited by Elliot Forbes (Princeton,  Princeton University  Pressp 1967), p. 526].
Dopo alcuni anni a Vienna si stabilì a Oberdöbling e compose “la battaglia di Lipsia” per 5 bande reggimentali, 30 trombe, 30 tamburi e cannonate. Due volte rappresentata presso la Sala della Fortezza Imperiale, a Vienna. Nello stesso anno, durante un viaggio in Sassonia, a Lipsia e anche a Praga, riconosciuto come virtuoso di corno e czakan (un flauto estraibile da un bastone da passeggio, strumento musicale popolare in Austria e Ungheria nella prima metà dell'Ottocento). Durante i suoi anni a Oberdöbling, Starke compose diverse messe, opere sacre, canti, sonate, quartetti e pubblicò il Wiener Pianoforte-Schule. Inoltre collaborò alla pubblicazione di articoli nel “Journal” per “Military Music” e “Trumpet Choir”. Morì il 18 dicembre 1835.
Passiamo ad analizzare il metodo pedagogico di Starke, il cui primo volume pubblicato a proprie spese, nel 1819.
La prefazione del trattato pedagogico sottolinea aspetti importanti che ci danno informazioni sulla didattica viennese di quel periodo e di conseguenza quello che erano i canoni richiesti per diventare un buon pianista. Starke scrive:
Chi si immerge nello studio del pianoforte lo fa per arrivare a livelli altissimi. Visto il perfezionamento dello strumento ho deciso di scrivere il metodo didattico Wiener Pianoforte-Schule perché non sia solo pratica arida e meccanica. L’esercizio non dovrà essere soltanto mirato all’esercizio meccanico ma, molto importante sarà “zur Erlangung eines richtigen Taktgefuhles bei.”  (ricercare un buon suono, cura del tocco).
„Das Pianoforte ist ubrigens, in Hinsicht des Schvermogens, eines der schwierigsten instrumente „ il pianoforte risulta essere uno degli strumenti più difficili e S. consiglia di avviare allo studio dello strumento in età compresa tra i sei e gli otto anni perché le articolazioni sono molto elastiche e permettono di progredire meglio nella velocità.                                                                   
Poiché “nessuno nasce genio”, prosegue lo Starke, sarà compito dell’insegnante mirare alla perfezione e pretendere il massimo dal discente; l’allievo dev’essere ligio al dovere e ascoltare senza indugio gli insegnamenti impartiti. Le smorfie facciali dell’alunno sono severamente punite, quando si manifestano devono essere cancellate e non permesse. L’allievo deve arrivare a venerare il suo Maestro e rispettarlo come tale. Questo dispotismo didattico si deve inasprire se troviamo il genio.                                                                                                        
La spiegazione per capire la predisposizione alla musica degli allievi: „Dissonanzen des jungen Hörers Stirne kraust und bei consonanzen glaltet, wenn die junge Kehle schon in der Jugend eigene Melodien trillert; dann ist musikalisches Genie vorhanden. Wenn das Kind von sechs bis sieben Jahren einen Rhythmus von vier bis acht Takten, durch einige Mahl vorspielen, auch wenn gerade und ungerade Takte durc einander gemischt werden, von selbst nachsingt und den Takt trifft, so kann kein Zweifel an musikalischer Anlage vorhanden seyn. Bei diesen kindern sollen aber auch Altern. wenn ihr Verhaltniss es erlaubt, keine Kosten für einen guten Meister scheuen, denn sie werden für die verwendete Auslage reiche Zinsen eineroten“. In sostanza dice: Se il bambino, sentendo una dissonanza, increspa la fronte, canta in modo intonato e suona dalle quattro alle otto battute tenendo il tempo e rispettando il ritmo, allora significa che è incline all’arte e pertanto il Maestro dovrà pretendere l’impossibile perché quando l’alunno sarà grande potrà essere grato agli insegnamenti e ne farà tesoro.            
Non manca un consiglio ai genitori, i quali dovranno fare molta attenzione alla scelta di una buona guida e infine non è concorde con gli autodidatti perché senza una guida non potranno mai progredire correttamente. Oltre ad un buon insegnante è indispensabile avere un buon pianoforte e che sia sempre accordato.                                                                             
Finito il preambolo, lo Starke, passa ai consigli didattici: l’esecuzione di balli nazionali, perché corti e con ritmo ben percepibile, aiutano a rafforzare il senso ritmico; risulta essere molto utile lo studio di brani a 4 mani, in duo con violino oppure flauto perchè meglio gestibile la cura del suono e quindi del tocco.                                                                                  
Brani di opere, balletti, cantate non sono raccomandabili per i principianti. Molto raccomandato è l’ascolto di bravi cantanti perché aiuta a maturare il gusto musicale.                                                                                       
L’allievo deve avere in repertorio brani di tutti i musicisti famosi in modo da discernere “Manier und Styl”. I brani di J.S. Bach., Händel e Beethoven saranno eseguiti in modo più enfatico rispetto a un concerto moderno di Dussek, Hummel e altri.
Proprio per questo motivo esalta la selezione di brani nella seconda parte del metodo di vari famosi compositori, presentati come modelli di buon gusto.

Alla p.24 del 1° volume, lo Starke presenta il contenuto dell’intera opera.

Ci sono 10 Capitoli: si passa da un’istruzione teorica e performante ad una tabella di termini musicali, un metodo di accordatura del pianoforte, regole di modulazione e una raccolta di settanta brani di studio (molti dell’autore, altri di Daniel Gottlob Türk e Gregor Joseph Werner) proposti in difficoltà crescente: dal livello elementare a quello moderato e infine avanzato. La novità del trattato sta nella sezione di educazione al canto. Come lo stesso autore afferma “gli studenti hanno bisogno di cantare a casa, per il piacere dei loro genitori e pertanto vanno educati al canto.                                                          
Il principio canto-performance sarà tipica della scuola di F. Chopin e dominerà l’educazione musicale dei romantici per arrivare ai nostri giorni. A tal proposito, per approfondire l’argomento, rimando al canale YouTube @thechopinmethod7257 (animazione biomeccanica del metodo Chopin).   

Il primo capitolo, dopo la presentazione del pentagramma, delle chiavi e delle note, passa alla tecnica delle 5 dita. L’autore afferma: “Primo esercizio per dare a tutte le dita la stessa forza, potenza tattile e destrezza”. Prima di far suonare l’allievo, il Maestro dovrà insegnare all’allievo la giusta postura, come tenere le braccia e come posizionare le mani e le dita sulla tastiera. Molto meticoloso nelle indicazioni: l’allievo sarà seduto al centro del pianoforte, busto dritto e con una distanza dalla tastiera di circa 8 o 10 pollici, in modo da poter raggiungere comodamente i suoni alti e quelli bassi. I bambini dai 6 ai 7 anni possono sedersi più vicini alla tastiera e devono avere uno sgabello adatto per permettere l’appoggio dei piedi. La sedia deve essere abbastanza alta in modo che i gomiti si adagino a circa uno o al massimo due pollici più in alto della tastiera, nel momento in cui la punta delle dita sono sui tasti. I gomiti dovranno essere chiusi, ma senza che aderiscano strettamente al corpo, e non si possono né alzarli né abbassarli mentre i movimenti delle mani e del polso devono essere circoscritti al minimo necessario. Il polso dovrà essere leggermente alzato in modo tale da permettere un movimento agile e disinvolto. Le spalle non curvate e in linea con i gomiti. Pollice e mignolo saranno tenuti dritti mentre le altre tre dita saranno ricurve sulla seconda falange in modo tale che siano tutte allineate. Il pollice non deve mai uscire dalla tastiera. Quando si suona con il mignolo la mano non dovrà inclinarsi. Per ovviare all’incorrere in brutte abitudini, soprattutto dei bambini, Starke consiglia di mettere una monetina lucente sul dorso della mano in modo da evitare movimenti inutili.  
Tutte le indicazioni devono essere curate nei minimi dettagli e non saranno ammesse deroghe in modo tale che l’esercizio sia sempre scorrevole e piacevole.
Conclude il primo capitolo dicendo che gli esercizi sulle 5 dita proposti, quando eseguiti correttamente, possono essere trasportati in altre tonalità e infine si può passare all’esecuzione della scala di DO maggiore a due ottave.

I capitoli secondo, terzo e quarto sono dedicati alla parte teorica, indispensabile per una buona lettura degli spartiti. Lo S. presenta: segni di alterazione; figure musicali seguite da esercizi ritmici parlati (solfeggio), disegna anche la suddivisione dei movimenti, e suonati; gli intervalli.
Dal capitolo 5, lo S., presenta il temperamento equabile introducendo i concetti di tono e semitono, di modo maggiore e minore (melodico e armonico). Interessanti le spiegazioni sull’uso del pollice per l’esecuzione delle scale: Pollice sotto, e con movimento minimo, alle dite più lunghe (quando si sale); è consentito l’incrocio del 3 con il 4 dito e del 5 con il 4 invece dell’uso del pollice (quello che i trattati del XX secolo comunemente chiamano il giro del pollice).
Vi sono diversi esempi di diteggiatura da utilizzare e si può notare che tutte le dita possono fare tutto, nel senso che il mignolo è usato senza problemi sui tasti neri (alcune scuole posteriori negano l’uso di pollice e mignolo sui tasti neri).  Il metodo dei metodi di Fétis-Moscheles riporta che ai tempi di J.S. Bach non si utilizzava il pollice per suonare le tastiere e giustamente osserva che l’uso delle armature di chiave era meno densa di alterazioni e pertanto si poteva fare a meno di utilizzare il pollice. Con il perfezionamento del forte piano che poi diverrà pianoforte si cambiano anche le diteggiature e si introduce l’utilizzo del pollice (anche sui tasti neri).







Molto interessante è la presentazione delle scale: scritte in tempi differenti e chiuse con trillo alla mano destra che risolve alla tonica e cadenza V-I (valori larghi) alla mano sinistra.

Percorso storico delle diteggiature? quelle che per molti sono vietate e demoniache ma che a volte semplificano il passaggio.

Ad esempio per la scala di Mi minore:
I trattati di Türk, Hummel, Clementi e similari riportano le stesse diteggiature, eccetto per C.P.E. Bach, che fornisce diteggiature moderne oltre, per la mano destra e per la scala di DO maggiore, le seguenti: 12343434 e 12341231.  Quest’ultimo afferma che l'incrocio di 3 su 4 è la più comunemente usata di queste diteggiature. Proprio questa diteggiatura fu usata da L.v.Beethoven nella versione ridotta dell'Andante della sua Sonata in RE maggiore, Opus 28 (che appare nel Volume 2 di Starke, pagina 63). Starke scrive che le diteggiature sono quelle annotate dallo stesso Beethoven. Proprio alla misura 32, per la mano destra, Beethoven indica l’incrocio 3 su 4 (da sol2 a sol#2).
Alle scale per moto parallelo seguono quelle di doppie terze per entrambe le mani e, per ulteriori approfondimenti, rimanda alla consultazione del piccolo metodo di Moscheles, riconoscendo a tale libro l’esaustività dell’argomento.
Il capitolo 6 si apre con la spiegazione di 3 diversi tipi di staccati, indicati con: staccatissimo (cuneo), puntino o punto e legatura combinati. Dice che le nota con lo staccato 1) dovrebbe essere suonate per un quarto del loro valore, le note con un punto 2) la metà del loro valore, e le note con un punto sotto una legatura, tre quarti del loro valore.

                                                                                 (carico di enfasi)     (un po’ corto)
1. Staccato breve
2. Semi-staccato
3. Staccato portato, appoggiato.
Allo staccato si alternano i suoni legati e pertanto il capitolo 6 si chiude proprio indicando l’espressività data dagli accenti ritmici e melodici. Crea il seguente esempio i puntini indicano di suonare le note leggere e più corte, l’inizio della legatura è l’appoggio iniziale e la fine è in chiusura. I segni in g) indicano l’appoggio sulla prima nota perché il ritmo cambia):

Lo Starke scrive che quando il suono dev’essere legato, solitamente c’è il segno di legatura oppure c’è scritto “legato”; ci tiene a indicare gli appoggi ritmici e melodici perché come scriverà più avanti, è importante dare la giusta accentuazione perché la musica è un linguaggio che si esprime come la lingua parlata e il canto è d’aiuto.
Gli ultimi segni presentati al capitolo 7 sono quelli del ritornello, delle fermate (punti coronati) e abbellimenti.
Il capitolo 8 è il cuore del metodo perché espone il principio su cui si basano gli insegnamenti che potremmo tradurre con la frase dello Starke:
Nur was vom Herzen kommt, kann wieder zum Herzen gehen  (Solo ciò che viene dal cuore può arrivare al cuore).
E’ richiesta una cura del suono che cambia a seconda delle emozioni che si vogliono esprimere. La musica non dev’essere fine a sé stessa ma deve comunicare, così come quando si parla oppure quando si canta. Una corretta esecuzione è paragonata ad un’espressione del pensiero che essendo prodotto con suoni e non con parole, così come il linguaggio scritto e parlato adotta punteggiature e sfumature, allo stesso modo il linguaggio sonoro dev’essere proposto in modo da toccare i cuori di chi ascolta, deve rapire il pubblico, deve fare centro.
A tal proposito Starke propone l’esercizio cantato di seguito:

Leggendo il testo si notano i Rhythmen (gli incisi che determinano la giusta accentuazione e quindi il carattere del brano) e i periodi. La fine di un inciso o di un periodo diventa più percepibile se alzi delicatamente il dito sull’ultimo tono dello stesso inciso e attacchi un po’ più forte il primo tono del periodo successivo. “Un vantaggio principale nell’imparare a trovare le interruzioni è che si nota se un brano inizia con la battuta completa, o se due, tre crome (o altre figure musicali) in levare sono contenute in anticipo; perché per la maggior parte delle volte, gli incisi, cadono sempre in battere. Ci sono anche incisi più piccoli che non consentono un taglio netto e si dicono cesure”.  La definizione della parola “ritmo” differisce dall'uso corrente del termine. Egli afferma che il ritmo è differenziato dal battito e dal metro nella musica, proprio come lo è nella poesia (analogamente alle annotazioni dello Schindler sui 23 studi selezionati, da Beethoven, del Metodo Cramer).
Il capitolo 9 parla delle mutazioni, vale a dire “l’uso dei registri”.
Poiché lo Starke scrive per i musicisti del suo tempo, è doveroso ricordare che il Forte Piano, chiamato anche Piano Forte delle origini non era tale e quale ai contemporanei.
Come riportato dal sito www.accademiacristofori.it: Costruito interamente in legno, senza rinforzi metallici nella struttura, con martelletti ricoperti di pelle anziché di feltro, il fortepiano ha caratteristiche timbriche e sonore assai diverse dai moderni pianoforti. Le varie zone della tastiera hanno una individualità sonora molto pronunciata, che differisce in maniera spiccata dalla omogeneità caratteristica dei pianoforti dei nostri giorni; la dinamica ridotta per quanto riguarda il volume è però assai varia per tutte le sfumature di piano, pianissimo, mezzoforte e forte; inoltre specie negli strumenti costruiti nei primi trent’anni del 1800, è possibile mutare il timbro delle corde, attraverso una serie di meccanismi comandati attraverso pedali o ginocchiere, con effetti sonori particolarissimi e impossibili da trasferire su strumenti moderni.

Nel capitolo 9 si fa riferimento ai pedali (o ginocchiere) che “cambiavano” il timbro del suono prodotto e pertanto si danno le indicazioni qualora si usino (consiglia l’utilizzo agli esperti e che sia fatto con criterio non per nascondere errori o strafare). Lo S. afferma che ce ne sono 6 oppure 7, dandoci informazioni importanti sul funzionamento dei Forte Piano della Vienna classica. Oltre ad indicarci le “mutazioni” in voga, crea una legenda (assegnando dei numeri ad ogni pedale) e indicando all’interno dello spartito come si fa con le dinamiche, agogiche e la diteggiatura.
(1) Moderatore (Pianozug): interpone tra corde e martelletti una sottile striscia di feltro per rendere il suono più vellutato; (2) Forte (Fortezug) aumenta il volume e fa vibrare le corde (l’attuale pedale di destra). Lo Starke consiglia di usarlo sugli accordi lunghi che fungono da accompagnamento e di cambairlo quando muta l’armonia. Uso moderato; (3) Guitarre oder die verruckung der claviatur sposta la tastiera a destra e produce un suono molto dolce e delicato, (4) Pianissimo suono doppiamente smorzato che fa effetto eco , (5) arpa e liuto (harfenzug auch lautenzug): preme del materiale morbido contro le corde, a ridosso del ponticello, smorzandone il suono; (6) fagotto (fagottzug): consisteva in una striscia di legno, rivestita di carta velina o pergamena, accostata alle corde gravi, in modo che vibrassero con il caratteristico ronzio del fagotto; (A) pedale delle turcherie (trommel): la sua funzione è quella di azionare una serie di marchingegni, che riproducono un suono di grancassa, campanelli e piatti, elementi tipici della musica turca dei giannizzeri, così come filtrata dalla cultura viennese di fine '700.
Con il passaggio dalla meccanica di tipo viennese (strumenti di Joseph Böhm, Conrad Graf, Johann Schantz, etc.), di fine '700 ed inizio '800, a quella romantica dei francesi Pleyel ed Érard, questi mutamenti caddero in disuso: non era più necessario sorprendere e divertire (per esempio le turcherie erano utilizzata per le danze oppure le marce) ma, esprimere sentimenti ed emozioni romantiche.

L’ultimo capitolo, il 10, si occupa dell’interpretazione degli abbellimenti, presentando acciaccature, appoggiature, mordenti, trilli… come ornamenti che devono rendere più belli i brani e non devono essere usati con gusto. Consiglia l’utilizzo nei brani lenti e in quelli veloci limitarli solo in alcuni punti di fermata. Sul finale del capitolo, considera la cadenza come forma di abbellimento, distinguendo due generi:
1. Il preludio: improvvisazione che precede un brano e di libera interpretazione;
2. La cadenza vera e propria, cioè improvvisazione in un punto importante del brano (contrassegnato da un punto coronato) che mette in evidenzia la bravura del pianista.
Starke precisa che le cadenze devono essere momenti espressivi e non devono ridursi a puri colpi di scena per sfoggiare la tecnica. Per i tempi lenti consiglia che le cadenze non siano troppo lunghe e ricorda un’affermazione di Türk “nelle cadenze lente spesso si vivono momenti indimenticabili e unici”.

A chiudere la parte teorica, finito il decimo capitolo, ci sono 10 pagine che si aprono con un glossario e spiegano le tecniche delle variazioni di un tema e la costruzione di canoni, indicati come fughe. Quello che emerge di interessante, da queste 10 pagine teoriche, è l’incoraggiamento a “creare” brani (non lo scrive espressamente ma, è sottointeso). Precedentemente a questo compendio spiega le modulazioni e pertanto lo studio delle tonalità (conseguenza della pratica delle scale in tutti i toni maggiori e minori). Poiché l’educazione all’ascolto, alla lettura ritmico/melodica, al canto, a suonare a 4 mani con l’insegnante, in duo con strumenti ad arco o a fiato (principalmente il flauto) sono requisiti indispensabili per l’educazione di base, e oggetto del metodo proposto, significa che tutto il percorso presentato è parallelo a interiorizzare i concetti e a esprimerli mediante proprie composizioni. Tutti i musicisti dell’epoca erano abili improvvisatori e quindi compositori.

I volumi 2 e 3 sono delle antologie di brani di Türk, Mozart, Hummel… e il nostro L. v. Beethoven. A quest’ultimo dedica una breve biografia dopo i brani n.32 (Andante, abbreviazione del secondo tempo della sonata per pianoforte op.28) e n.33 (Rondò) del secondo volume, esaltandone le qualità e affermando che “ha saputo imporsi, lavorando sodo, dando lustro all’arte tedesca e quindi la Germania deve essere orgogliosa del suo operato” (p.64 del II volume).
Anche nel terzo volume compaiono brani Beethoven: p.64 “finale da concerto” e da p. 73, tema e variazioni, fino alla fine. Come detto precedentemente, la stima tra lo Starke e Beethoven era reciproca. Lo Starke ha seguito gli studi pianistici di Karl e sicuramente lo zio Ludwig ha dato il contributo attivo alla stesura di questa opera didattica. Alla p.89 compare un tema di Beethoven con variazioni, con diteggiatura dello stesso compositore, e si chiude con una fuga.                     
Chiudere il Metodo con un tema, variazioni e fuga finale di Beethoven è rendergli onore e riallacciandomi al fatto che esorti i giovani a comporre, chiude con un esempio che corona questa FORMA musicale tanto amata dalla scuola viennese.

Molte informazioni legate alla pratica pianistica e le performance dei pianisti della Vienna Classica, facendo riferimento al metodo didattico in oggetto, le troviamo nei seguenti libri: Robert Winter nel suo articolo "Secondo pensiero sull'esecuzione dei trilli di Beethoven" (Musical Quarterlv. Autunno 1977), William S. Newman nel suo libro del 1988 “Beethoven su Beethoven” e Sandra Rosenblum, nel suo libro del 1988, “Performance Practices in Classic Piano Music”.


Il metodo Starke è facilmente consultabile al seguente link https://imslp.org/wiki/Wiener_Pianoforte_Schule%2C_Op.108_(Starke%2C_Friedrich)

Il presente studio è stato svolto in collaborazione al CRM www.lvbeethoven.it e alla pagina https://www.lvbeethoven.it/articoli-buonamici/  trovate l'articolo completo.

Sonata pastorale op.28 di L.v. Beethoven, Andante (II movimento)
"I suoni ci circondano e noi siamo essenza sonora"
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